sabato 16 agosto 2014

IL GRAN TEATRO DEL MONDO

Il Seicento è il secolo in cui la teatralità pervade ogni aspetto della vita: il mondo terreno è percepito come una scena teatrale sulla quale si svolge la rappresentazione della vita, in cui ognuno recita in prima persona il proprio ruolo e assiste alla recitazione degli altri; gli uomini sono al tempo stesso attori e spettatori, mondo e scena si sovrappongono e si confondono.
La scoperta di un’inesauribile esistenza microscopica nascosta sotto la patina del visibile concorre ad alimentare la percezione dell’illusorietà del reale. La rivoluzione scientifica, che attraverso invenzioni come il microscopio e il cannocchiale rivela la varietà e la mutevolezza del reale, svela l’esistenza degli spazi infiniti e degli elementi microscopici. Ne scaturisce una moltiplicazione dei punti di vista, delle prospettive, che determina un moltiplicarsi delle percezioni.
Tra la seconda metà del Cinquecento e il primo Seicento si assiste in Europa alla nascita dei primi edifici teatrali, che rappresentano una cospicua novità rispetto alle soluzioni provvisorie utilizzate fino ad allora per le rappresentazioni (cortili, giardini, sale dei palazzi). In Italia un ruolo fondamentale nel rinnovato interesse per l’edificio teatrale svolgono il ritrovamento, nel Quattrocento, dei trattati di Vitruvio (I secolo a.C.) sull’architettura romana e sulla struttura dell’edificio teatrale (De architectura, De re edificatoria). All’interno di uno spazio chiuso le linee del teatro classico vengono riprese nella disposizione del pubblico su gradoni discendenti di forma semicircolare, ma si fondono con l’applicazione della prospettiva rinascimentale: se ne vede un esempio illustre nel Teatro Olimpico di Vicenza (1580-1585) progettato da Andrea Palladio e ultimato da Vincenzo Scamozzi.
Assai diversi da questa forma sono i teatri pubblici londinesi, tra i quali il Globe Theatre, costruito per le rappresentazioni della compagnia di Shakespeare: sono edificati in spazi aperti, secondo una pianta circolare, ottagonale o quadrata, con un a serie di gallerie a più piani per il pubblico – sistemato tuttavia anche in piedi nel cortile – su cui si protende il palcoscenico.
Al Globe Theatre gli spettatori sono accolti dal motto Totus mundus agit histrionem (Tutto il mondo recita), che sta a segnalare come nei loro diversi aspetti tutti i movimenti della vita siano percepiti come rappresentazione teatrale: nei teatri si rappresentano le vicende dei cortigiani, dei re, dei servi attraverso maschere che rimandano al mondo reale e che ne svelano l’illusorietà. Ogni comportamento umano può essere considerato una recita e la vita terrena diventa una grande commedia di cui Dio è l’autore.

Sulla scia del machiavellismo Il teatro coinvolge anche la politica: la “ragion di stato” impone di ricorrere all'astuzia, il sovrano e la sua corte, per gestire il potere, fingono, simulano e dissimulano, in altre parole recitano.

Teatro Olimpico - Vicenza


IL GRANDE TEATRO EUROPEO
Francia: Corneille, Moliere, Racine;
Spagna: Lope de Vega, Calderon de la Barca;
Inghilterra: Marlowe, Shakespeare;
Italia: Commedia dell’arte.

The Globe Theatre

L'UNIVERSO BAROCCO

Nel plenilunio d’inizio estate del 1609, a Roma, il pittore tedesco Adam Elsheimer puntò gli occhi nel terso cielo della città, prese una tavoletta di rame e dipinse un bellissimo notturno, La fuga in Egitto. A sinistra da un falò acceso dai pastori le faville sprizzano verso l’alto, al di sopra di un bosco scuro, quasi trasformandosi nelle linee luminosissime della Via Lattea che splende nel cielo trapunto di costellazioni. A destra una splendida luna tonda come una frittella si specchia in un corso d’acqua, sdoppiandosi e illuminando Maria, Giuseppe e Gesù con l’asinello.


A guardar bene, quella luna ha qualcosa di straordinario: per la prima volta nella storia è stata raffigurata con assoluta esattezza, con le sue macchie oceaniche, i suoi monti e i suoi laghi, rugosa e bitorzoluta, “ineguale, scabra e con molte cavità e sporgenze, non diversamente dalla faccia della Terra”, come pochi giorni più tardi la vede a Padova Galileo Galilei, che così la descriverà, nel marzo 1610, in un libretto intitolato Sidereus Nuncius. In gita a Venezia, nel giugno 1609, Galilei ha comprato uno dei primi cannocchiali costruiti in Olanda e decantati come meraviglie magiche dai mercanti in giro per l’Europa; un altro esemplare dev’essere finito nelle mani di Elsheimer. E così un artista prima e un genio della scienza e della tecnica poco dopo guardano con occhi nuovi l’antichissimo, eterno cielo stellato, scoprendone e rappresentandone in forme impensate la sconfinata dimensione e il complesso movimento planetario.
Da pochi anni nelle chiese romane erano sbocciate alcune tele destinate a cambiare il modo di ritrarre la realtà: le aveva dipinte il lombardo Caravaggio, un artista di talento superlativo, che trasponeva sulla tela un nuovo modo di guardare le piccole cose di ogni giorno e di osservare la vastità imperscrutabile delle tenebre che sembrano corroderle: la visibilità del mondo, dopo di lui, diviene una lotta furiosa fra luce e ombra.
Nell’ombra notturna gli scienziati si tuffano per indagare l’universo con strumenti sempre più sofisticati e precisi, disintegrando le idee e le immagini millenarie della cosmologia tolemaica, chiusa e circolare, e svelando e misurando invece con esattezza crescente un cosmo in espansione ben oltre i confini del sistema solare, un mondo “infinito e uno” come lo aveva descritto il filosofo Giordano Bruno, bruciato per questa e altre eretiche teorie a Roma nel febbraio del 1600.
Il secolo barocco si apre con il rogo di Campo de’ Fiori e con la luna scientifica di Elsheimer e di Galilei, con i corpi di Caravaggio, veri, concreti, impastati di carne e di buio. Il circolo mirabile dell’universo, che per tutta l’antichità e il Medioevo aveva fatto coincidere la perfezione di Dio e del suo creato, si deforma  e si tende verso l’ellisse, la nuova forma simbolica che domina il pensiero e l’arte del Seicento.
Galileo, dominato dal paradigma del cerchio, resiste ad accettare i suoi stessi calcoli matematici e astronomici, che gli dimostrano il moto ellittico dei pianeti intorno al sole. Ma ellittico è il disegno del colonnato di Piazza San Pietro, in cui Bernini raffigura l’inedito universo galileiano; ed ellittiche sono anche le piante delle chiese e delle cupole di Borromini. Ellittico, multicentrico, sarà anche il più noto poema dell’epoca: l’Adone di Giambattista Marino.

Gian Lorenzo Bernini - San Pietro

L’IMMAGINARIO BAROCCO
Tradizionalmente connotato per il fasto eccessivo, per la rappresentazione stravagante, per gli orpelli e la decorazione eccentrica, e in generale per una manifestazione tutta esteriore destinata a suscitare la sorpresa e la meraviglia dell’osservatore, l’immaginario barocco rivela in realtà implicazioni ben più profonde e rivoluzionarie: comporta una diversa percezione dello spazio e del tempo, e quindi del movimento, e una conseguente trasformazione delle immagini della realtà; produce una nuova iconografia dell’universo.
Le grandi scoperte geografiche, nel corso del Cinquecento, avevano allargato i confini del mondo. Nel Seicento, l’osservazione del cosmo e le scoperte scientifiche decretano il definitivo e irreversibile declino del disegno tolemaico del cosmo circolare: lo svelamento dell’orbita ellittica dei pianeti dilata e deforma la circolarità delle sfere celesti e la dilatazione del cerchio produce un progressivo allontanamento dal centro. La più ardita espressione di questa tensione a travalicare il limite della sfera è espressa dal filosofo Giordano Bruno, che osò formulare una domanda decisiva: “Come può l’universo essere finito?”
Corrisponde a questa nuova visione del cosmo la tendenza alla dilatazione e alla deformazione dello spazio, che informa di sé le realizzazioni estetiche barocche. La forma rompe la sua staticità e si fa mutevole, cangiante. Ma questa mutevolezza rivela anche che il mondo naturale è in movimento incessante e soggetto a continua mutazione. A questa viva percezione del movimento e del dinamismo delle forme si accompagna una lancinante consapevolezza della fugacità del tempo: ogni volta che una forma muta diventando altra, la forma originaria muore. L’uomo barocco ha chiarissimo il sentimento di questa fragilità dell’essere e lo rappresenta attraverso gli oggetti: le nature morte, i teschi, gli orologi e soprattutto le rovine, relitti di un tempo ormai trascorso e consumato.

Claesz Pieter - Natura morta


Galileo Galilei – Sidereus Nuncius
È un breve trattato di astronomia pubblicato nel 1610, che rende conto delle rivoluzionarie osservazioni e scoperte compiute dallo scienziato pisano con l’uso di un cannocchiale (o telescopio galileiano), perfezionato per l’occorrenza. Il titolo dell’opera è traducibile come “messaggero celeste”, e si riferisce appunto alle radicali novità, rispetto alla cosmologia aristotelica e tolemaica, che il libro portava con sé.
Galileo presenta e riassume le scoperte effettuate nei mesi precedenti con l’uso di un cannocchiale rivolto al cielo per delle osservazioni notturne.
La prima grande novità è relativa alla superficie della luna, che secondo la fisica e la cosmologia tradizionali, ancorate al principio di autorità e all’ossequio alla teoria geocentirca tolemaica, doveva essere liscia e perfetta come una sfera. In realtà Galileo nota, grazie alle macchie e le ombre prodotte dal Sole, che la crosta della luna è aspera et inaequali, cioè “scabra e disuguale, con rilievi di diverse altezze”, e che non è poi tanto dissimile da alcuni monti terrestri.
La seconda rivelazione galileiana riguarda le stelle fisse, che ad un esame analitico si rivelano essere molte di più del numero convenzionale tradizionalmente accettato; ciò spezza la rappresentazione dell’universo come un insieme compiuto, ordinato e limitato di astri, tutti noti all’occhio umano.
Come terzo punto, lo scienziato spiega che la Via Lattea è “nient’altro che una congerie di innumerevoli Stelle, disseminate a mucchi; ché in qualunque regione di essa si diriga il cannocchiale, subito una ingente folla di Stelle si presenta alla vista, delle quali parecchi si vedono abbastanza grandi e molto distinte; ma la moltitudine delle piccole è del tutto inesplorabile”. L’esistenza di nebulose ed ammassi distinti di stelle è un chiaro indizio che l’universo è ben più ampio di quanto creduto finora.
Ultima novità fondamentale è la scoperta dei quattro satelliti “medicei” (nominati così in onore di Cosimo II) orbitanti attorno a Giove; l’esistenza di corpi con un centro di rotazione diverso da quello della Terra (che Claudio Tolomeo immaginava al centro del sistema solare) è un pesantissimo argomento a favore della teoria copernicana.
Il Sidereus Nuncius è allora un punto fondamentale nella storia delle idee occidentale: il metodo galileiano applicato al “libro della natura”, come dirà nel Saggiatore, getta le basi per la moderna ricerca scientifica, fatta di prove, esperimenti e verifica sperimentale di dati, strumenti, risultati raggiunti.