NOZIONI DI METRICA
VERSO
È fondamentale, parlando di sillabe e versi, chiarire
subito il funzionamento del sillabismo italiano:
due versi sono composti dallo stesso numeri di sillabe se l'ultima tonica è nella stessa posizione.
Cioè per stabilire il numero delle sillabe di un verso si
contano le sillabe fino all'ultima tonica. La tradizione italiana è
isosillabica, cioè un verso dello stesso tipo ha sempre lo stesso numero di
sillabe. Se un verso supera la "misura standard" si dice ipermetro
(in genere varia di una sillaba), se non raggiunge la "misura
standard" si dice ipòmetro.
Esistono versi piani (il caso più frequente), tronchi[1]
o sdruccioli.
L'endecasillabo è il verso più nobile della poesia italiana. Si definisce endecasillabo l'endecasillabo
piano: 11 sillabe con l'accento
tonico sulla decima posizione seguito da una sillaba atona.
(11P) Nel- mez-zo -del
-cam-min- di- no-stra -vì¹°-ta
Si possono avere anche endecasillabi tronchi: quando il
verso, di dieci sillabe, termina con una tonica
(11T) e -con-
Ra-che-le,- per -cui -tan-to- fe'¹°
e si possono avere endecasillabi sdruccioli: quando alla
sillaba con accento tonico seguono
due sillabe atone
(11S) Già -non
-com-pie' -di - tal -con-si-glio -rén¹°-de-re.
In pratica si definisce endecasillabo il verso che ha
l'accento tonico sulla decima sillaba.
Allo stesso modo si considerano tutti gli altri versi: il
decasillabo ha accento tonico sulla
nona sillaba e può essere piano, tronco o sdrucciolo (3-6-9); novenario (2-5-8 o
3-5-8); ottonario (3-7, ma anche 1-3-7); senario (2-5);
quinario (1-4 o 2-4 più raramente 3-4); quadrisillabo (-3);
trisillabo (-2).
L'endecasillabo canonico
ha il seguente schema: 4-10 o 6-10. Ciò significa che, oltre alla 10°,
ha la 4° sillaba tonica o, in alternativa la 6°. Si possono avere entrambe le
sillabe toniche (4 e 6), ma non entrambe atone: in questo caso il verso si dice
sbagliato. Quindi, con varie possibilità di ritmi fra atone e toniche, si può
riassumere lo schema accentuativo dell'endecasillabo:
corretto:
4-(6)-10
a minore (la prima parte del verso è un quinario)
corretto:
(4)-6-10
a maiore (la prima parte del verso é a un settenario)
corretto:
4-6-10
non corretto: 4-6-10 (raro e usato
soprattutto nel '900).
CESURA: (=taglio) è una pausa all'interno del verso. Le due parti del verso, separate dalla cesura si chiamano emistichi. Il caso più frequente è quello in cui la cesura cade alla fine di parola, dopo la 4° sillaba; esistono vari tipi di cesura: maschile; lirica; italiana; epica. (è lirica se la 3° è tonica e la 4° è atona: che nel lago | del cor m'era durata; maschile se la 4° è tonica: che nel pensier | rinova la paura; la cesura epica è molto rara; quella italiana si verifica quando cade dopo una parola piana in cui l'accento sia in 4° posizione: fu stabilita | per lo loco santo; la parola piana risulta à metà tra un emistichio e l'altro: fu stabili | ta).
CONTARE LE SILLABE
La sillaba, lo ripetiamo, è l'unità metrica del verso ed è
composta da una vocale (o gruppo vocalico) unita ad una o più consonanti. Ad
una sillaba corrisponde un'unica emissione di fiato. Ad ogni vocale,
generalmente, corrisponde una sillaba, ma quando ci sono più vocali
consecutive, le cose si complicano e intervengono delle regole.
-
All'interno
di parola: DIERESI (due vocali
valgono per due sillabe. Si segnala graficamente con ¨, ex.: Trivïa).
SINERESI (due vocali valgono per una
sillaba, ex.: loda di Dio vero).
-
Fra
due parole diverse, all'interno del verso, è normale la SINALEFE (due vocali valgono per una sillaba: Voi ch'ascoltate in rime
sparse il suono), ma si può
verificare, più raramente, la DIALEFE
(due vocali valgono per due sillabe: «Miserere
di me» gridai a lui). (dieresi e
dialefe sono sinonimi di iato). Quando la SINALEFE si verifica tra due versi si
ha una SINÀFIA.
-
Quando
una vocale tonica è seguita da una atona: all'interno di parola si conta una
sillaba, ma alla fine del verso si contano due sillabe.
-
Il
dittongo AU è generalmente
monosillabico. Es.: causa, lauda.
-
La
i consonantica non ha valore di
sillaba, quindi esclude la dieresi. Es.: tempio.
-
I
nessi della i atona seguita da una
vocale atona, in fine di parola, sono monosillabici. Es.: minaccia.
-
I
nessi con le vocali A, E, O con una vocale tonica sono generalmente considerati
due sillabe. Es.: paura = pa-u-ra.
Una parola, infine, può essere allungata nella parte iniziale, centrale e finale (protesi: istrada, epentesi: umilemente,
epitesi: fue); può essere accorciata
nella parte iniziale, centrale e finale (aferesi: [in]verno, sincope: medes[i]mo, apocope: vo[glio])
esiste, inoltre, in poesia come in prosa l'elisione (es.: : Voi ch'ascoltate
in rime sparse il suono).
RIMA
La rima è l'identità di suono, fra due parole o fra due
versi, della parte finale comprendendo l'ultima sillaba tonica. La rima è posta
nella parte terminale del verso, ma può essere interna a due versi (rimalmezzo
o rima al mezzo: es. da Jacopo da Lentini: No,
ma lo core meo / more più spesso e forte
/ che non faria di morte - naturale);
quando un verso non rima si dice irrelato.
Schemi di rime (per convenzione con la lettera maiuscola si
indicano gli endecasillabi, con quella minuscola le misure minori):
BACIATA: AA BB CC (frequente
nelle quartine dei sonetti e nei distici)
ALTERNATA: ABAB CDCD (frequente
nelle quartine dei sonetti, nelle sestine o nelle ottave)
INCROCIATA: ABBA CDDC (frequente
nelle quartine dei sonetti)
INCATENATA: ABA BCB CDC (reso
famoso dalla Divina commedia, per cui
detta anche DANTESCA)
REPLICATA: ABC ABC (frequente
nelle terzine dei sonetti)
INVERTITE: ABC CBA (frequente
nelle terzine dei sonetti)
Ci sono rime FACILI, quelle per cui si hanno a disposizione
molte parole e che comportano l'uguaglianza delle desinenze o dei suffissi (es:
cantare-amare; dire-sentire; chiaramente-facilmente) e rime
difficili, dette RARE, quelle per cui è difficile trovare parole.
Ci sono rime PERFETTE,
quelle in cui l'identità di suono comporta anche l'ultima tonica, e rime IMPERFETTE, quelle in cui questa
identità non è completa (ASSONANZA =
identità delle vocali; CONSONANZA =
identità delle consonanti). Trascuriamo le rime SICILIANE, BOLOGNESI, PROVENZALI e rime TRONCHE, PIANE , SDRUCCIOLE.
Le rime RICCHE
sono quelle in cui l'identità delle sillabe finali di due parole risale oltre
l'ultima tonica.
La rima si dice EQUIVOCA
quando le parole hanno identità di suono, ma un significato diverso (frequente
il caso in cui una parola rima con un verbo: … il viso di Madonna luce (verbo)
/ e m'è rimasa nel pensier la luce (sostantivo). Un caso
particolare è dato dalla RIMA EQUIVOCA
CONTRAFFATTA quando si ha identità fonica e diversità oltre che semantica
anche grafica: ad esempio l'uso petrarchesco di Laura-l'aura. (casi più rari sono: rima COMPOSTA; PER L'OCCHIO; IN TMESI; IPERMETRA).
SCHEMI METRICI
Proponiamo una scelta dei più comuni schemi metrici della
tradizione lirica italiana, con esclusine delle forme più rare come ballata,
strofa zagalesca, aria, rondò, stornello e altre.
SONETTO: è la forma più usata
nella tradizione poetica italiana. Convenzionalmente si ritiene Jacopo da Lentini
il primo utilizzatore di questa forma, che viene in seguito consacrata dall'uso
petrarchesco. Esso è composto da 14 endecasillabi divisi in due quartine e due
terzine. ABAB ABAB; ABBA ABBA per le quartine e CDE CDE; CDC CDC; CDE DCE; CDE
EDC per le terzine. Esistono altre forme più rare di sonetto: SONETTO RINTERZATO: è un sonetto
tradizionale in cui i 14 endecasillabi sono inframmezzati da settenari; SONETTO DOPPIO; CAUDATO (ai 14 versi segue la "coda" di una o più
terzine).
CANZONE: per i Siciliani, ma
anche per Dante, la forma più nobile, per forma e temi, della poesia era la
CANZONE, a cui seguivano nell'ordine la CANZONETTA e il e il SONETTO.
(consacrata dall'uso dantesco e petrarchesco, ma gode fino a Tasso, Leopardi,
Carducci e D'Annunzio di grande fama e prestigio).
CANZONE ANTICA O PETRARCHESCA: componimento di varia lunghezza (di solito 5 stanze)
è composto da unità-base dette stanze
(stanza=strofa), concluse da un congedo.
Dante nel De vulgari eloquentia
definisce la corrispondenza fra forma e contenuto: cioè alla forma metrica più
alta corrispondono gli argomenti più elevati. I versi utilizzati sono, quindi,
i più nobili della tradizione, cioè endecasillabi e settenari.
La stanza è divisa in due parti: fronte e sirma. La
fronte, a sua volta, si divide in due piedi,
cioè due parti con versi dello stesso tipo e posti nello stesso ordine. La sirma è invece indivisibile. La
divisione tra fronte e sirma, con due versi che rimano, è detta chiave o, da
Dante, diesis. Lo schema di una
stanza di canzone petrarchesca (ad es. Chiare,
fresche e dolci acque) può essere così schematizzato:
Canzone
petrarchesca
|
a
b
C
|
I piede
|
Fronte
|
a
b
C
|
II piede
|
|
c
d
e
e
D
f
F
|
Sirma (indivisibile)
|
|
...
|
Altre stanze
|
|
D
f
F
|
Congedo
(ripresa ultimi 3 vv.)
|
Canzone
duecentesca
|
a
b
a
C
|
I piede
|
Fronte
|
d
b
d
C
|
II piede
|
|
E
e
f
G
|
I volta
|
Sirma
|
h
h
i
G
|
II volta
|
|
...
|
Altre stanze
|
Nelle altre stanze si ripete lo stesso schema, anche se con
rime diverse. La lunghezza dei piedi è variabile (2-6 versi).
La prima parte della stanza si chiama anche fronte, anche se per Dante questo
termine indica un insieme indivisibile di versi. Lo schema della sirma è libero.
Si incontra anche un altro schema di canzone (secondo
schema), lievemente variato rispetto al primo, in quanto suddivide anche la
sirma in due parti (ad es. madonna dir vo
voglio). Ma per Dante lo schema della canzone può anche essere quella di
una I parte indivisibile FRONTE, seguita da due VOLTE. In pratica si possono
avere diverse combinazioni:
I
schema
|
II
schema
|
III
schema
|
I PIEDE
II PIEDE
|
I PIEDE
II PIEDE
|
FRONTE
|
SIRMA
|
I VOLTA
II VOLTA
|
I VOLTA
II VOLTA
|
Ma non è possibile avere contemporaneamente le due parti
indivisibili, cioè:
FRONTE
|
SIRMA
|
Nel Seicento e Settecento la canzone diviene più libera
dando vita alla canzone leopardiana, la CANZONE
LIBERA appunto.
COBLAS: sono collegamenti fra
una stanza e l'altra, in cui si riprende la rima dell'ultimo verso della prima
stanza nel primo verso di quella successiva: coblas capcaudadas (se la ripresa riguarda una parola si dice coblas capfinidas; nel caso di evidenti
analogie all'inizio di ogni stanza si dice coblas
capdenals).
SESTINA è una forma di canzone
le cui stanze (6) sono indivisibili, usata da Dante e Petrarca, fino a tutto il
'400. Ci sono alcune regole di composizione: nessun verso rima all'interno
della stanza, ma ci sono corrispondenze delle stanze fra di loro attraverso
parole-rima, variando in ogni strofa la posizione. Nel congedo si ripetono
tutte le parole-rima, tre sono poste alla fine del verso, tre sono interne. Tra
una stanza e l'altra c'è coblas capcaudadas e il primo verso della prima stanza
rima con l'ultimo verso dell'ultima stanza. Sono sestine i componimenti A qualunque animale alberga in terra (Rvf., 22); Non à tanti animali il mar fra l'onde (Rvf., 237) di Petrarca ai quali si rimanda.
CANZONE-ODE O ODE è una canzone
semplificata, di lunghezza variabile. Le strofe sono composte da 4
endecasillabi con schema ABBA o ABAB (più raramente 5 versi). Fu usata
soprattutto nel '500 (Bembo, Chiabrera, Marino fino a Parini). A volte si
possono trovare, alternati agli endecasillabi, alcuni settenari.
ODE-CANZONETTA O CANZONETTA è, secondo le indicazioni di Dante, un componimento
intermedio fra la canzone (stile elevato) e il sonetto (stile umile).
Predominano versi brevi al posto degli endecasillabi. Alcuni testi sono testi
leggeri, vere e proprie "canzoncine", altri sono più
"seri", di argomento più elevato come le ODI di Parini che non
rientrano nel metro della canzone-ode. Lo schema è lo stesso della canzone-ode,
ma varia la lunghezza del verso: non più l'endecasillabo, ma versi brevi,
prevalentemente il settenario, ma anche altre misure.
MADRIGALE è una forma breve di poesia
accompagnata dalla musica. Gli schemi di rime sono molto vari; i versi sono
l'endecasillabo e il settenario variamente associati. Si sviluppa nel '300, si
vedano ad esempio quelli di Petrarca (Rvf.,
52; 54) e viene ripreso nel '500 con Tasso e nell'800 con Carducci e Pascoli.
STRAMBOTTO O RISPETTO è una forma poetica
accompagnata da musica. È costituita quasi sempre da 8 versi e si divide in due
tipi: ottava siciliana ABABABAB (canzuna) e l'ottava toscana ABABABCC (rispetto
o strambotto). Esistono altri schemi di rime, ma sono molto rari. È una forma
trecentesca, ma gode di molta fortuna nel '400 (larenzo de' Medici e Poliziano)
e nell'800 (Pascoli).
SCHEMI METRICI DELLA
POESIA DISCORSIVA
LASSA è una serie di versi
uniti da assonanza. È tipica della poesia religiosa del '300 (ad esempio
Jacopone da Todi). È stata ripresa da Carducci nella Canzone di Legnano e da D'Annunzio nella Notte di Caprera.
DISTICO è una serie di versi
appaiati a coppie di due, di solito in rima baciata. I versi possono essere
vari: endecasillaba, settenari, ottonari, novenari. Usato nella poesia
discorsiva nella poesia antica e in quella moderna (Carducci; Pascoli).
QUARTINA componimento in cui i
versi sono in strofe di 4 versi di solito monorimi ed endecasilabi. Diffusa
nella poesia didascalica nell'Itala settentrionale (Bonvesin da la Riva,
Giacomino da Verona).
SERVENTESE i provenzali indicavano
con questo termine varie forme che non appartenevano al genere illustre e
lirico, ma popolare di solito scritto su melodia preesistente. Possono essere
quartine di endecasillabi (ABAB), distici di endecasillabi (AA BB) , sirventese
caudato; capitolo quadernario e terzina doppia.
TERZA RIMA (INCATENATA
O DANTESCA)
componimento in cui i versi sono
raggruppati secondo la rima dantesca:
ABA BCB CDC ecc (il verso interno rima con quelli esterni del gruppo seguente).
Questo schema è stato reso famoso dalla Commedia
dantesca.
OTTAVA RIMA O OTTAVA è una strofa di 8 endecasillabi rimati secondo lo schema:
ABABABCC. È usata soprattutto nella poesia discorsiva: Ariosto nell'Orlando furioso; Tasso nella Gerusalemme liberata; Poliziano nelle Stanze per la giostra di Giuliano de' Medici.
SESTA RIMA O SESTINA è una forma narrativa
(diversa dalla sestina lirica) di sei endecasillabi con schema: ABABCC. È usata
per esempio da Fantoni negli Idilli.
NONA RIMA è una forma narrativa
di nove endecasillabi con schema: ABABABCCDD.
ENDECASILLABO SCIOLTO è una serie continua
di endecasillabi senza rima. È di uso soprattutto sette-ottocentesco, anche si
conoscono esempi cinquecenteschi, ma raramente nei secoli precedenti,
consacrata dal Giorno di Parini, dai Sepolcri di Foscolo e dagli Idilli di Leopardi.
SITOGRAFIA
Dizionario di metrica italiana (+ retorica, +
esempi e altro)
Alla sezione “Strumenti” si trovano
dizionarietti sia di retorica, sia di metrica.
BREVE
GLOSSARIO RAGIONATO DI RETORICA (E METRICA)
Si fornisce in questa sezione un utile glossario di
retorica e metrica articolato in quattro parti:
1. Figure morfologiche
e metriche; 2. Figure sintattiche; 3. Figure semantiche; 4. Figure logiche.
Le figure retoriche sono il centro della poetica classica e
sono in relazione allo scarto (deviazione) dalla lingua standard. Non sono
peculiari della poesia, ma usate abitualmente anche dal linguaggio comune e
dalla prosa. La figura è un processo di connotazione e come tale implica la
coscienza dell'ambiguità del linguaggio. La poesia usa il linguaggio figurato.
1.
FIGURE MORFOLOGICHE E METRICHE
Le figure morfologiche riguardano le trasformazioni che si
attuano nella forma della parola e nella sua sostanza fonetica.
Una parola ad esempio può essere allungata nella parte
iniziale, centrale e finale (protesi:
istrada, epentesi: umilemente, epitesi: fue); può essere accorciata nella
parte iniziale, centrale e finale (aferesi:
[in]verno, sincope: medes[i]mo, apocope:
vo[glio]). Queste figure sono necessarie
per ragioni metriche come la dieresi
(ex.: Trivïa = il dittongo è trasformato in iato) e sineresi (ex.: loda di
Dio vero = uno iato conta per
una sola sillaba). Allo stesso modo funzionano dialefe (tiene distinte due vocali che si incontrano) e sinalefe (due vocali che si
incontrano contano per una sola sillaba) quando nel verso ci sono parole
contigue che terminano o iniziano per vocale (Voi ch'ascoltate in rime
sparse il suono).
Uno dei caratteri del linguaggio poetico è l'iteratività
(ripetizione di un elemento -fonema, sillaba, parola, struttura, posizione
ritmica…- la principale iterazione fonica è la rima. Seguono:
Assonanza (quando
c'è somiglianza di suono fra le ultime sillabe di due parole, quando cioè sono
uguali le vocali e diverse le consonanti, ad esempio: amore/morte).
Consonanza o paronomasia (quando c'è somiglianza di suono fra le ultime
sillabe di due parole, quando sono uguali i gruppi consonantici, ad esempio: sedendo/mirando; parlotta/maretta). Simile
alla paronomasia è l'anagramma (trasposizione
delle lettere di una parola per formarne un'altra, ad esempio: Silvia /salivi).
Allitterazione (ripetizione
di uno o più fonemi all'inizio di parole successive, o nel corpo di parole, per
ottenere un parallelismo fonico o un particolare effetto ritmico. Si veda ad
esempio il celebre verso petrarchesco di me medesmo meco
mi vergogno).
Palindromo (parola
o verso che può essere letto da destra a sinistra o da sinistra a destra: Roma/amor); ci sono anche palindromi
vocalici (che, or volge
l'anno, sovra questo colle).
Ci sono altre figure morfologiche e metriche:
Arcaismo: è l'uso di un
vocabolo caduto in disuso (ex.: frate
per fratello).
Barbarismo: è l'uso di un vocabolo tratto da un'altra lingua (ex.: computer).
Enallage: è l'uso di una parte
del discorso al posto di un'altra (ex.: l'aggettivo al posto dell'avverbio
ecc.).
Idiotismo: è l'uso di un
vocabolo o di un lessema regionale (ex.: tengo
famiglia al posto di ho famiglia).
Neologismo: è l'uso di un
vocabolo di nuovo conio.
Solecismo: è un vero e proprio
errore di morfologia (ex.: il fantozziano vadi).
Tmesi: divisione di una
parola fra due versi, cioè la prima metà si trova alla fine del primo verso e
la seconda metà si trova all'inizio del secondo verso.
2.
FIGURE SINTATTICHE
In questa sezione sono raccolte le figure che hanno a che
fare con l'ordine logico della frase, la disposizione degli elementi e le sue
variazioni.
Per quanto riguarda la soppressione di elementi in una
frase ricordiamo: l'ellissi
(ex.: a buon intenditor -[bastano]- poche parole); l'asindeto
(soppressione delle congiunzioni: ex.: oggi
arrivo, domani parto); lo zeugma
(è una specie di ellissi, perché fa dipendere da un solo verbo più termini:
ex.: parlare e lagrimar vedrai insieme).
Sono figure che comportano l'aggiunta di elementi: l'enumerazione o accumulazione (catena esuberante
di attributi ad una parola o elenco).
Parentesi o frase incidentale è l'aggiunta di elementi non necessari o
di precisazioni all'interno di una frase. È segnalata dalle parentesi o dalle
virgole.
Pleonasmo: è l'aggiunta di
elementi ridondanti, superflui e non necessari (ex.: ho battuto la mia testa).
Polisindeto: è l'uso marcato delle
congiunzioni, ex.: e
sempre corsi, e mai non giunsi il
fine; e dimani cadrò.
Sono figure per soppressione o sostituzione la sillessi (è detta anche
"costruzione a senso" ed è la non concordanza fra soggetto e
predicato, ad esempio: quanti guai c'è
nel mondo) l'anacoluto (un
vero e proprio errore logico in cui la prima parte della frase non corrisponde
alla seconda: ex.: io speriamo che me la
cavo).
Altre figure che hanno a che fare con la disposizione degli
elementi sono:
Chiasmo: è una figura
sintattica che si basa sull'incrocio delle parole o dei temi. Ne è un
esempio il famoso verso ariorstesco: le
donne, i cavallier, l'arme, gli amori).
Ciclo: è la collocazione di
lessemi con significati uguali o simili alle due estremità della frase, è un
chiasmo con solo i termini esterni, ad esempio la frase: a casa voglio andare a casa).
Inversione: è l'inversione,
appunto, dell'ordine naturale di una frase (ex.: Dolce e chiara è la notte e senza vento; vita natural durante), una
forma particolare di inversione è l'anastrofe in cui è cambiato l'ordine
di alcune parole (ex.: cammin facendo),
mentre l'iperbato consiste nello spostamento di un termine separato
dall'elemento a cui si riferisce (mille di fiori mandano incensi
= mandano mille incensi di fiori al
cielo).
Il principio di equivalenza si manifesta a livello
semantico-sintattico con l'iterazione
(a livello fonoprosodico con la rima, l'allitterazione, l'assonanza
ecc.) che si manifesta con le figure dell'anafora (ripetizione di una o più parole all'inizio del
verso: per me si va nella città
dolente,/ per me si va nell'etterno
dolore,/ per me si va tra la perduta
gente), dell'epifora (ripetizione di una o più parole alla fine del
verso); dell'anadiplosi
(consiste nella ripresa di una parola all'inizio di un verso della parola
conclusiva del verso precedente: questa
voce sentiva/ gemere in una capra.// In una capra…); nell'epizeusi o gemminatio o epanalessi
(cioè una ripetizione enfatica, ex.: o
natura, natura…; devi studiare,
studiare, studiare). Esiste una figura che consiste nell'unione di
un'anafora e un'epifora: si chiama complexio. La climax è un'enumerazione di termini con gradazione di
intensità maggiore (ascendente) o minore (discendente o anticlimax), ad esempio: si
alzò, iniziò a camminare, camminò sempre più veloce, fino a correre come il
vento.
Endiadi: esprime un concetto con un due termini
coordinati (sost. + sost. al posto di un sost. + agg.), ad esempio: vedo prato e fiori al posto di: prato
fiorito).
Ipàllage: scambio del normale
rapporto sintattico fra due parole (ex.: il
divin del pian silenzio verde. Verde si riferisce sintatticamente
a silenzio, ma idealmente a pian).
Ipèrbato: alterazione
dell’ordine naturale, prosastico, dei termini di una espressione.
Annominazione o bisticcio:
è l'accostamento di termini foneticamente simili, ma semanticamente diversi.
(ex.: selva/selvaggia; ch'i' fui per tornar
più volte vòlto; traduttore/ traditore; amore/amaro).
Figura etimologica: è l'accostamento di
parole aventi in comune la stessa radice etimologica, ad esempio: vivere la vita.
Queste figure sintattiche o di posizione non
sono prive di suggestioni sonore e di valore semantico. Si creano, infatti,
interni rapporti di analogia o opposizione tra le parole chiave e tra i temi.
3.
FIGURE SEMANTICHE
Sono i tropi veri e propri (sostituzione di un messaggio
proprio con uno improprio, figurato, traslato). Esse sono:
Allegoria: è un messaggio che si
sviluppa su due livelli di senso: uno letterale che rinvia a un secondo
livello, quello l'allegorico appunto. Un termine (denotazione) si
riferisce a un significato più profondo (connotazione). (ex.: Veltro in Dante).
Allusione: il messaggio esprime
un significato, ma vuol farne intendere uno diverso ex.: è una fatica di Sisifo. (non opposto, perché in questo caso
sarebbe un'ironia).
Antonomasia: sostituzione di un
nome proprio (di cosa o persona) con un termine che ne indichi la funzione (ex.: il Filosofo = Aristotele; il Notaio = Jacopo da Lentini); oppure
attribuire il nome proprio di qualche personaggio famoso o mitico che rese
famosa una data attività o qualità (fa il
Cicerone = guida; è il Mecenate =
promotore culturale).
Apostrofe: frase rivolta a
qualcuno diverso dal destinatario del testo (ex.: quando Dante si rivolge a
Firenze nel VI canto del Purgatorio).
Catacresi: metafora ormai
consunta ed entrata nel linguaggio comune (ex.: le gambe del tavolo).
Enfasi: messa in rilievo di
un termine, attraverso accorgimenti di pronuncia o scrittura.
Metafora: per Cornificio: «la
metafora si ha quando una parola è trasferita da una cosa all'altra, perché
sembra che si possa trasferire senza errore a causa della somiglianza». Per
Quintiliano: «si trasporta un termine o un'espressione da un luogo in cui è
proprio a quello in cui manca il termine proprio o il traslato ne è migliore».
(è una similitudine abbreviata) (ex.: Sergio
è una volpe = furbo come una volpe; Laura
aveva i capelli d'oro = biondi come l'oro).
Metalepsi: consiste nell'uso
improprio di un sinonimo (dà luogo a giochi di parole, battute; parole di
uguale significante, ma diverso significato).
Metonimia: sostituzione di un
lessema con un altro sulla base della contiguità (la causa per l'effetto; il
contenitore per il contenuto; la materia per l'oggetto, il concreto per
l'astratto e viceversa). (ex.: Ma negli
orecchi mi percosse un duolo; …le sudate carte; lingua mortal non dice; bevi un
bicchiere). Secondo U. Eco non c'è distinzione fra metonimia e sineddoche.
Onomatopea: è la creazione di una
parola sull'imitazione di un rumore, è cioè una parola che riproduce un suono
(ex.: tic tac; fruscio).
Perifrasi: giro di parole per
indicare un significato. Figura amata da Dante. E. N. Girardi dice che la
perifrasi, oltre a esprimere un concetto senza mai nominarlo, serve all'autore
per aggiungere informazioni o sottolineare particolari aspetti di una parola
(ex.: Colui che volentier perdona =
Dante, in questo caso, sottolinea di Dio l'aspetto del perdono)
Personoficazione o prosopopea: attribuire qualità umane a personaggi o oggetti.
Similitudine: è un paragone
introdotto da "come" e "così" (ex.: il cielo è come un coperchio).
Sineddoche: sostituzione di una
parola con un'altra avente con la prima un rapporto di tipo estensionale (iperonimo
e iponimo) (singolare per il plurale; la parte per il tutto; la specie per il
genere e viceversa). (ex.: vidi una vela
sul lago; il pane non manca).
Sinestesia: molto amata dai simbolisti
e dalla poesia del '900; è una forma particolare di metafora che consiste
nell'associare termini appartenenti a sfere sensoriali diverse (ex.: voci di tenebra azzurra = udito/vista).
4.
FIGURE LOGICHE
Le figure logiche modificano il senso di una frase.
Litote: consiste
nell'affermare una cosa negando il contrario (don Abbondio non era nato con un cuore da leone; Raul Bova non è brutto). Equivale ad una
attenuazione del pensiero per far intendere più di quanto non si dica.
Reticenza: si verifica quando
una frase è incompleta e lascia intendere ciò che non è espresso. (ex.: non vorrei darti una brutta notizia, ma…).
Iperbole: è l'esagerazione di
una qualità spinta oltre i limiti della verosimiglianza, spesso sfocia in
un'ironia (ex.: te l'ho detto un milione
di volte).
Antitesi: è la contrapposizione
di concetti antitetici (non fronda verde
ma di color fosco).
Ossìmoro: è una antitesi
condensata, cioè l'accostamento di due termini opposti (ex.: dolce amarezza; oscura chiarezza).
Antifrasi: si verifica
quando si vuol affermare esattamente l'opposto di ciò che si dice. (hai ragione tu -ma in realtà si vuole
intendere: "hai torto"). È evidente il valore ironico.
Eufemismo: si verifica quando si
attenua o si addolcisce un'espressione troppo cruda. (ex.: è passato a miglior vita).
Ironia: consiste nel dire una
cosa lasciando intendere il contrario (sei
propri bravo! Brad Pitt è proprio brutto!).
[1] I versi si dicono piani
se terminano con una parola piana:
quando a una sillaba tonica segue una atona. Es.: pa-rò-la.
Si dicono tronchi se terminano con una parola tronca: se l'accento cade sull'ultima
sillaba. Es.: per-ché. Si dicono
sdruccioli se terminano con parola sdrucciola:
se l'accento cade sulla terzultima sillaba. Es.: è-po-ca. Esistono anche parole bisdrucciole (accento sulla
quartultima) e trisdrucciole (accento sulla quintultima).
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