Di Corrado Poli
“C’è qualcosa più forte dell’odio in natura?” domanda un
amico di FB, credendo di sollevare un quesito solo retorico. Invece io d’impeto
gli rispondo: “Certo, l’amore e la compassione propria degli esseri umani e di
alcuni altri animali”. Sono stati proprio questi sentimenti che hanno
consentito agli esseri umani di prevalere su tutte le altre specie. Nel bene e,
oggi, anche nel male, poiché la nostra sta diventando una specie infestante
incapace di limitare la propria capacità di imporsi e deteriorare il pianeta.
Prima che gli esseri umani prendessero coscienza del proprio
potere sulla natura, sognavano la forza del leone e l’estraneità alla terra di
un’aquila capace di vivere da sola nei cieli e scendere di tanto in tanto a
procurarsi il cibo. Riecheggia questo dubbio e questa invidia nella mitologia e
nelle religioni antiche, dove alcuni animali erano considerati divinità. Famoso
è il coro dell’Antigone in cui si paragona il piccolo uomo che non è nulla di
fronte alla grandezza della natura, ma allo stesso tempo la domina con il
linguaggio e con la politica.
La capacità di collaborare, di aiutarsi l’uno con l’altro,
di “com-patire” – dividere con gli altri i piaceri e i dolori – hanno
consentito agli esseri umani di lavorare in gruppo, di dividersi i compiti.
Hanno permesso loro di proliferare poiché gli uomini aiutavano e nutrivano le
donne gravide e contribuivano al mantenimento dei figli che a un certo punto cominciarono
a riconoscere come propri e a formare delle famiglie.
Questo atteggiamento non è solo culturale, è anche genetico:
van de Waal in una nota ricerca ha scoperto come altri animali superiori
sappiano provare gli stessi sentimenti di bontà e di amore e questi sentimenti
consentono loro di operare collettivamente. Le religioni che accomunano tutte
le culture hanno ratificato questi atteggiamenti trasformandoli in regole
morali e religiose.
Potremmo pensare che il comportamento non violento degli esseri
umani sia solo una questione etica, un dovere cui dobbiamo sottostare per
appartenere alla società. Invece questo modo di agire è anche conveniente. Le
società meno violente sono quelle in cui il tenore di vita è più elevato. Lo è
sempre stato nel corso dei secoli.
È vero allora che oggi prevale il più violento e aggressivo?
Può succedere, ma solo in qualche occasione e per breve tempo. La forza della
compassione, della tolleranza e della cooperazione alla fine prevale sempre.
Purtroppo succede di passare attraverso periodi bui o di vivere situazioni
critiche in cui la pietà s’eclissa e i violenti prevalgono. O succede che gli
esseri umani non sappiano più controllare la forza che hanno acquisito, come
sta accadendo ora nei confronti di una natura soggiogata e sfruttata e perciò
progressivamente distrutta.
La violenza è quindi prima di tutto sciocca e
controproducente. La caratteristica meno umana della nostra specie. La persona
“forte” non è mai quella che usa la violenza fisica, né quella morale. Usa la
violenza chi ha paura, chi non sa applicare le doti superiori
dell’intelligenza. Chi usa la violenza è un perdente perché non otterrà mai
quello che cerca… e quel che cerca l’essere umano è il sentimento che gli è
più proprio, cioè la condivisione, l’amore, lo stare insieme.
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